Juliane Koepcke è nata nel 1954 a Lima - Perù, figlia di sienziati che vivevano a centinaia di chilometri di distanza da dove Juliane studiava, nel bel mezzo della foresta amazzonica. Alla vigilia di Natale del 1971, poche ore dopo il ballo di fine anno della scuola, la diciassettenne Juliane e sua madre salirono su un aereo che doveva portarle al di là della foresta pluviale peruviana. Sarebbero dovute tornare a casa per celebrare il Natale con il padre di Juliane.

Il loro aereo fu colto in volo da un violentissimo temporale che lo ribaltò in pochi secondi, uccidendo così tutti i 92 passeggeri, tranne Juliane. Juliane aveva una certa confidenza con l’ambiente incredibilmente umido e opprimente della foresta e aveva sviluppato una buona conoscenza del suo ecosistema, conoscenza che le avrebbe salvato la vita.

Dopo 11 giorni, si credeva fosse morta, Juliane riuscì a uscire dalla foresta e a riconciliarsi con suo padre. Ecco la sua storia

 

Era tutto normale. Il volo era in ritardo, ma questa in Perù è più la regola che l’eccezione. Tutti volevano tornare a casa per passare la vigilia con la propria famiglia. L’aereo sulla pista, un Electra Turboprop, sembrava assolutamente nuovo, a me pareva perfetto.

Poi le nuvole hanno cominciato a farsi più scure e dense, mia madre ha cominciato a diventare nervosa e a dire, Non mi piace questa situazione". Le nuvole diventavano sempre più scure e le turbolenze aumentavano d’intensità. Ad un certo punto le nuvole erano completamente nere e la tempesta si era fatta veramente potente. Fuori era tutto nero e c’erano fulmini ogni due secondi. Poi ho visto questa luce abbagliante sull'ala destra: il motore era stato colpito da un fulmine. Da quel punto in poi, tutto è accaduto molto velocemente. Non ero spaventata, non ho avuto il tempo di esserlo. E poi ho avuto un black-out.

Dopo la calma totale, sentivo solo il suono del vento. Poi ho realizzato che ero a terra e ho immediatamente capito cosa era successo.

Avevo subito una commozione cerebrale, non riuscivo ad alzarmi in piedi, avevo un occhio gonfio. I miei occhiali erano andati. Capii di essere sopravvissuta all'incidente aereo. Ho questo breve frammento di memoria, in cui mi trascino sotto la sedia per proteggermi dalla pioggia. Dopo ho pensato: Devo riuscire ad alzarmi” e quando mi sono decisa a farlo, mi sono finalmente svegliata del tutto.

Non sentivo niente, non riuscivo a vedere bene da un occhio e la differenza di pressione tra l’interno e l’esterno dell’aereo mi avevano fatto esplodere i capillari. Perdevo coscienza in continuazione. Mi ci è voluta mezza giornata perché potessi riuscire a camminare. Inoltre mi ero rotta la clavicola destra, sentivo che l’osso era sovrapposto. Ma almeno non era uscita fuori, non era una ferita aperta.

Non c’era più nessuno. Ho setacciato tutta l’area e ho gridato per farmi sentire, ma nessuno rispondeva. Nel pomeriggio, ho trovato un piccolo ruscello e mi sono ricordata che mio padre una volta mi aveva detto: se ti perdi nella giungla e trovi l’acqua, devi seguirla fino a che troverai aiuto. (NdR: questa è una credenza piuttosto comune ma è falsa, come arriverà a verificare la stessa Juliane più tardi).

Quando ho scoperto quel ruscello, mi sono posta subito un obiettivo e sapevo cosa fare per poterlo raggiungere. Il fatto che non ci fosse nessuno sul luogo del disastro ha fatto sì che fosse più facile per me andare via. Se ci fossero stati sopravvissuti, sarebbero stati gravemente infortunati e restare lì con qualcuno che non poteva muoversi avrebbe significato la morte di entrambi. Il quarto giorno dopo l’incidente, ho trovato un’intera fila di sedili coi cadaveri conficcata nel terreno. L’impatto era stato così forte che i sedili erano sprofondati un metro sottoterra.

Cominciai a sentire e vedere gli aerei di salvataggio sopra di me, ma non riuscivo a farmi notare e dopo un po’ non li ho più visiti né sentiti e a quel punto ho capito che avevano già smesso di cercare: sapevo che avevo solo le mie forze per uscirne. Non sapevo che il fiume che avevo seguito era disabitato e continuavo a sperare di trovare aiuto. Inoltre, c’erano molti alberi caduti in acqua, il che sta a indicare che un fiume non è trafficato.

Mi ero strappata i legamenti delle vertebre del collo e avevo uno stinco parzialmente fratturato, avevo anche subito la lacerazione del legamento crociato anteriore, ma non sapevo nulla. Solo dopo, in ospedale arrivarono il gonfiore e la febbre a 40. Avevo una piccola ferita sul braccio e delle mosche ci avevano deposto delle uova. Le larve poi avevano scavato un piccolo buco all'interno del mio braccio. Avevo paura che mi avrebbero dovuto amputare il braccio.

Il pomeriggio del decimo giorno ho trovato una barca a motore con una tanica di benzina. Non potevo crederci. All'inizio pensavo fosse una visione, pensavo che stavo cominciando a impazzire. Sono riuscita a mettere benzina nella ferita. Molte larve sono risalite in superficie, altre mi sono state tolte in ospedale.

Ho sempre pensato che stare senza cibo sarebbe stato agonizzante, ma in realtà non provavo nessun dolore. Ero così apatica e debole che non me ne importava più nulla del cibo. Nonostante ciò, ho provato a catturare qualche rana, ma non sarebbe stata una grande idea. Erano rane velenose, altamente tossiche.

E in quel momento ho sentito delle voci. Non potevo crederci. Tre persone sono emerse dalla foresta. Quando mi hanno vista si sono presi un colpo. I miei occhi erano ancora rossi. Avrò avuto un aspetto spaventoso. Io parlavo perfettamente spagnolo, quindi ho spiegato loro cosa era successo. Avevano sentito dell’incidente aereo alla radio. Mi hanno dato del cibo e mi hanno curato le ferite, e dopo abbiamo passato la notte insieme lì. L’indomani mi hanno portata con la barca giù per il fiume e nel pomeriggio abbiamo raggiunto una piccola cittadina con un ospedale. È lì che ho ricevuto le prime cure.


Ho avuto incubi per anni e anni, e il rammarico per la morte di mia madre e degli altri passeggeri è rimasto intatto per parecchio tempo.

Quel pensiero : "perché sono sopravvissuta solo io?" mi tormenta ancora oggi. E lo farà per sempre.

 

 

 

L'articolo Originale è stato redatto da VICE, su cui potrete trovare la versione integrale.

I dettagli di questa straordinaria impresa sono stati poi raccontati da Werner Herzog in Wings of Hope, documentario poco conosciuto realizzato nel 2000 per la televisione tedesca. Qui sotto riportiamo la prima parte del documentario, disponibile su YouTube.