Tra gli scenari possibili che mettono a grave rischio la società in cui viviamo c'è quello in cui uno dei pilastri su cui questa stessa società si è costruita e si basa venga a mancare: il petrolio. Le implicazioni dovute all'esaurirsi di questa preziosissima risorsa sono molteplici, essendo il petrolio la principale fonte di energia impiegata dall'uomo sul pianeta Terra ed essendo questa energia impiegata praticamente per tutte le attività commerciali, industriali ed agricole. Basti pensare ai trasporti, al riscaldamento, alla distribuzione delle merci ed al loro costo, alla produzione di innumerevoli prodotti: plastiche, fertilizzanti, lubrificanti, carburanti, tessuti sintetici, gomma, medicinali, colle...
Proprio per questi motivi il "picco di Hubbert", il modello matematico così discusso che cerca di calcolare quanto petrolio ci rimane da sfruttare e con quali implicazioni, rappresenta per moltissimi Prepper il secondo scenario più preoccupante e probabile, subito dopo la crisi economica mondiale.
Una società miope
L'uomo ha de sempre dovuto sfruttare le risorse che la natura gli mette a disposizione per vivere: dall'acqua ai pesci, alla frutta. Ogni cosa che l'uomo può utilizzare per migliorare le proprie condizioni di vita è ambita e quindi motivo di lavoro, pianificazione, guerre e migrazioni. Ben presto l'uomo ha spostato la sua attenzione da quelle risorse che gli permettevano la mera sopravvivenza e sussistenza (cibo e riparo) a quelle in grado di garantirgli una vita sempre più agiata. Questo gli permette di vivere meglio, di assicurare la sopravvivenza della propria prole e di riprodursi aumentando significativamente la popolazione mondiale.
Tra le risorse che hanno permesso questo ci sono quelle energetiche: da sempre legna e carbone sono le nostre fonti primarie di calore e, dalla rivoluzione industriale, hanno anche rappresentato il combustibile con cui i primi motori a vapore mettevano in moto le prime fabbriche e con esse l'economia.
Man mano che la scienza e la tecnologia sono progredite l'uomo ha avuto a sua disposizione più fonti di energia che adopera per la produzione di beni e per il proprio sostentamento. Questo ha fatto sì che la richiesta di fonti di energia continuasse ad aumentare e divenisse una risorsa strategica dal punto di vista economico, politico e militare. Tuttavia questa impostazione ha avuto come conseguenza un modello enocomico miope che si basa sul reperire queste fonti di energia e sfruttarle, senza fornire soluzioni per una eventuale scarsità di queste fonti, se non quella di acquistarle, rubarle o passare ad un'altra fonte.
Una teoria sbagliata
La grande miopia della società attuale è quindi il suo stare ancora seduta su assunti economici e produttivi nati nei primi del 1800, anni in cui le risorse erano estremamente abbondanti dato che la domanda era ancora bassa e la reperibiltà era immediata e facile, al punto da poter rimandare quasi all'infinito il problema dell'esaurimento.
In altre parole, tutte le trasformazioni che l'uomo è in grado di fare sulla materia e sull'ambiente sono "monodirezionali" : prendono delle materie prime e le confezionano in prodotti finiti. In questo processo molte risorse vengono usate in modo irreversibile. Questo modello ignora completamente il fatto che siamo in un mondo finito e limitato, come se fossimo rinchiusi in una boccia di vetro coi fiocchi di neve artificiali, e tutto quello che facciamo resterà inevitabilmente dentro questa boccia. Quando avremo terminato tutte le materie prime o le risorse che possiamo sfruttare, non avremo un altro posto in cui andarle a prendere e non potremo importarle dai Vulcaniani. Il petrolio non fa eccezione, anzi. Semplicemente non ne avremo più ed il pianeta non potrà mai riciclare e ricreare il petrolio ed il carbone che ha impiegato milioni di anni a creare in modo naturale. Ne consegue quindi che inevitabilmente non potremo crescere all'infinito e, anzi, arriverà un momento in cui la scarsità di risorse ci farà fare retromarcia.
Una specie energivora
Approfondendo l'analisi del rapporto tra l'uomo e l'energia diviene presto lampante un dato: siamo una specie che "mangia" energia. Non si può che trarre questa conclusione se si osserva il grafico qui sotto:
La spiegazione è semplice: il petrolio è fonte di benessere essendo legato indissolubilmente alla produzione ed allo spostamento del cibo e delle merci. Se si pensa infatti alla produzione di fertilizzanti e di farmaci, è evidente che il petrolio sia stato una manna dal cielo per la specie umana che ha immediatamente ottenuto la possibilità di sopravvivere meglio, più a lungo e più facilmente e quindi di aumentare enormemente la popolazione, specie in quei paesi più poveri dove la produzione agricola e la moria infantile sono elevatissime. Risulta però anche evidente il contrario: se malauguratamente scoprissimo un giorno di non avere più questa risorsa fondamentale a disposizione è lecito aspettarsi un ribaltamento dell'andamento della curva e quindi un retrocedere della qualità di vita che impatterebbe concretamente sulle possibilità di sfamarsi dei singoli e quindi ridurrebbe automaticamente il numero di persone sul pianeta.
Il nucleare non è la soluzione
Si potrebbe sperare che l'uranio sia allora una risposta al possibile esaurirsi dei pozzi petroliferi. Analizzando questa ipotesi ci si accorge presto che non è così, per motivi sia di fattibilità pratica che economici. Le stime sulle riserve d'uranio ancora esistenti variano parecchio, tanto che quelle ottimistiche parlano di poco meno di un secolo di durata mentre quelle pessimistiche di meno di un trentennio. Si sta già "raschiando il fondo del barile", iniziando a lavorare minerale con tenori di uranio sempre più bassi, con costi di estrazione e produzione sempre più alti. In ogni caso è evidente che, ammesso e non concesso che sia fattibile, stiamo solo spostando il problema più in là di un paio di generazioni.
Per quanto concerne le ragioni economiche si noti che:
- Nessuno è in grado di definire oggi, in particolare dopo quanto accaduto a Fukushima, il costo della costruzione di una centrale nucleare.
- Nessuno ha mai realmente implementato nei costi della centrale il prezzo del suo smantellamento a fine vita.
- Gradualmente negli ultimi 30 anni quasi un centinaio di reattori sono stati spenti per “vecchiaia” e sono in attesa che si creino le condizioni per iniziare le attività di smantellamento.
- Nessuno ha mai potuto o può definire i costi reali della messa in sicurezza e conservazione nel tempo delle scorie e dei materiali radioattivi provenienti dallo smantellamento.
...Eppure qui da noi c’era anche chi aveva il coraggio di sostenere che la costruzione di impianti nucleari avrebbe sostituito buona parte delle importazioni di greggio e sarebbe stata la risposta più opportuna al prezzo, troppo elevato, del petrolio.
Il petrolio è insostituibile
I combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) e il nucleare garantiscono oggi circa il 90% del fabbisogno energetico del pianeta. L’energia elettrica prodotta da queste fonti rappresenta meno del 40% dei consumi energetici mondiali, tutto il resto è usato per la produzione dell'infinita lista di beni e prodotti ricavati dal petrolio (servirà carbone per ridurre i minerali di ferro a ghisa, petrolio e gas per tutte le plastiche, i fertilizzanti, i lubrificanti, i carburanti, i tessuti sintetici, la gomma, gli asfalti, i medicinali, i colori, le colle ecc) e per i trasporti. Nessuna altra fonte conosciuta è così prolifica di energia e di sostanze come il petrolio che, ormai dal lontano 1980, ogni anno scopriamo sempre in quantità inferiore a quella che consumiamo.
Per capire quanta energia ci da il petrolio c'è un esperimento semplice ma dai risultati chiarissimi: prendiamo la nostra auto e lasciamola con un solo litro di benzina/gasolio nel serbatoio. Guidiamola dove ci pare fino a che quel poco carburante si esaurisce. Ora giriamo la macchina e spingiamola fino al punto di partenza... è evidente che nessuno intraprenderebbe volentieri uno sforzo fisico di tale portata. Risulta altrettanto evidente quanto e quale dovrebbe essere lo sforzo da fare (noi o chi per noi) nel momento in cui ogni aspetto della nostra vita quotidiana verrebbe ad essere svolto senza l'utilizzo di carburanti o energia fossile.
Fatto questo esperimento non è difficile credere che l'energia prodotta dai 159 litri di un barile di petrolio corrisponde a 25.000 ore di lavoro fisico umano.
Quanto petrolio rimane ancora?
Anche in questo caso le stime sono molto diverse tra loro e non è affatto facile mettere d'accordo i diversi punti di vista. Ad ogni modo non si può mettere in discussione il fatto che questa risorsa sia limitata e che inevitabilmente prima o poi arriverà lentamente ad esaurirsi. In ogni caso le quantità di petrolio sono ancora molto consistenti; probabilmente è stata estratta circa la metà di quello esistente. Quindi il problema non va enunciato con “il petrolio è terminato” bensì con “cresce progressivamente la difficoltà a soddisfare la domanda globale”, in relazione ai problemi nel trovarlo, alla possibilità di estrarlo e ai risultati dell’estrazione.
I problemi veri quindi sono principalmente legati al fatto che se ne usa sempre di più, se ne trova sempre di meno, e diventa sempre più costoso produrlo.
Come abbiamo già visto il petrolio è legato a gran parte della filiera produttiva e distributiva. Anche se può sembrare il proverbiale "gatto che si morde la coda", il petrolio si usa anche per estrarre, raffinare e trasportare il petrolio stesso. Quanto petrolio si usa per produrre il petrolio? In termini tecnici si parla di ERoEI (Energy Returned On Energy Invested), un indice che mette in evidenza quanti barili di petrolio posso produrre utilizzando l'energia fornita da un solo barile. Nella prima metà del secolo scorso questo indice si attestava attorno a 100 (cioè, con l’energia di un barile di petrolio, si portavano a casa 100 barili di petrolio). Oggi, quando va bene, arriva a 15 e sempre più spesso non supera 10, 12, destinato a ridursi ulteriormente. Quando l'indice arriverà a 1 è evidente che non ne varrà più la pena, ma già intorno a 5 o 3 le cose non saranno certo rosee.
Le immagini del pozzo da cui fuoriesce uno schizzo nero fino al cielo è ormai anacronistica: oggi il petrolio si cerca nelle sabbie bituminose (si lava via il petrolio dalla sabbia o dalla roccia) o si usano trivellazioni sempre più costose in posti sempre più impervi (fondali oceanici e sotto il ghiacci polari).
La scarsità attuale e le prospettive
Non serve essere "complottisti" per capire che dietro a molte delle guerre degli ultimi 10 anni e più c'era sostanzialmente il progetto di accaparrarsi il controllo delle zone che producono petrolio, gas ed altre riserve naturali. Il termine tecnico dietro cui questa necessità si nasconde è spesso "esportare la democrazia" o "liberare un popolo da un dittatore". Non a caso ci sono paesi in cui i dittatori sono a loro agio e la democrazia può aspettare: comodità conferite dall'assenza di risorse da negoziare nel dopo conflitto. Poco importa se così si uccide, si distruggono territori, ambienti, equilibri sociali: l’imperativo è recuperare risorse primarie per continuare la crescita e aumentare la produzione. Chi può, chi è in grado, continua a perseguirlo, a qualunque prezzo, indifferente ai costi sociali ed ambientali che ne conseguono. I pozzi del Mare del Nord dal 2000 producono sempre meno e stanno per esaurirsi; ecco allora che l’Inghilterra ritrova l’interesse per le miniere di carbone nazionale, chiuse nei primi anni ’80 e, assieme alla Francia, improvvisamente scopre di condividere la richiesta di democrazia del popolo libico. La Cina sta accaparrando giacimenti in ogni dove, Africa soprattutto, anticipando enormi quantità di denaro in cambio di promesse di fornitura. Gli USA, da tempo presenti in tutti gli scacchieri petroliferi mondiali, puntano a convincere i nuovi fornitori portandoli a sedere sotto l’ombra del dollaro e dei propri cannoni. La Russia ha esplicitamente rivendicato i fondali sotto i ghiacci del polo nord, a costo di scontrarsi – per ora a livello di diplomazie – con il Canada e gli USA.
Aggiungiamo che il costo (rappresentato anche dal ERoEI) sta salendo, e che pure la domanda continua ad aumentare. E' evidente che non si sarà in grado di soddisfare la domanda di tutti i Paesi, specie quelli emergenti come Cina ed India, e che il prezzo delle risorse aumenterà andando a beneficio di chi se le può permettere. Da lì l'aumento delle tensioni, prima nazionali, poi internazionali, che non potranno che esplodere in conflitti molto accesi, non necessariamente di natura militare: si vedano i casi di aggressioni economiche quali quella subita dall'euro nella seconda metà del 2011 e gli acquisti del debito sovrano di uno Stato.
Lo scenario
Veniamo ora, finalmente, al punto di vista più vicino al Prepper, ovvero: cosa potrebbe accadere prima durante e dopo e che strategie possono essere adottate per minimizzare i rischi.
Data l'incidenza del prezzo del petrolio su tutti i beni prodotti è inevitabile un aumento costante e progressivo dei prezzi di tutte le merci, dai vestiti al cibo ai medicinali. Ovviamente aumenteranno i prezzi dei combustibili, dei trasporti e del riscaldamento. Le crisi economiche che ne deriveranno saranno una semplice immediata inevitabile conseguenza. Tutto questo darà facile sfogo a tensioni sociali e disordini interni alle nazioni, cominciando da quelle più povere per risalire gradualmente la classifica. Dopo aver aumentato tutti i prezzi è possibile che ci siano razionamenti delle risorse che aumenteranno il livello di tensione delle persone. Sul piano della politica interna delle nazioni si assiteranno a tentativi di esercitare un maggiore controllo sulla popolazione e sulla sua possibilità di reagire, quindi un governo senza la possibilità di soddisfare la domanda interna non avrà alternative che imporre restrizioni alla rappresentatività democratica.
Sul piano di politica estera è facile che le precedenti alleanze e patti di non belligeranza tra vicini si incrinino, anche irreparabilmente. Le alleanze saranno riscritte allo scopo di accaparrarsi e dividersi le risorse di un altro stato e non dureranno oltre.
Cosa fanno i Preppers
Ci sono molti esempi di strategie messe in atto dai Prepper per poter rispondere a questo scenario. Sicuramente sono validissime le scorte di viveri e di altre risorse fondamentali come i medicinali. Tuttavia, essendo lo scenario del peak oil uno scenario permanente e non reversibile è ovvio che anche le scorte arriveranno molto presto ad esaurirsi. In questo senso la scorta darebbe al prepper un vantaggio momentaneo nel quale affrontare la situazione nel miglior modo possibile. Alcuni prendono seriamente anche l'ipotesi di armarsi per fronteggiare i disordini sociali e per proteggere i propri cari e soprattutto le proprietà, ma anche questa è una soluzione temporanea e non stabile oltre al fatto che porta con sè tutti i rischi intrinseci del possedere e dover usare un'arma.
La soluzione più appropriata però pare essere quella che è tanto radicale e profonda quanto il cambiamento che si dovrà affrontare: sapendo che una risorsa non sarà più disponibile si impara da subito a farne a meno. Ecco quindi che molti optano per una soluzione "off the grid" (fuori dalla griglia) ovvero distaccarsi dalla rete di forniture che si basano sul petrolio (corrente, gas, riscaldamento, trasporti, prodotti) o quantomeno imparare a sostituirli.
Si va da chi impara a ricavare da sè il biodiesel con cui alimentare le auto a chi ritorna a investire sulla coltivazione diretta dalla terra. Qualsiasi sia la strategia prescelta, quella che paga di più è quella che punta all'autosufficienza e all'indipendenza.
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